L’Unesco lancia l’allarme per il rischio estinzione delle lingue minori: rischiano di scomparire 2500 lingue delle 6900 parlate nel mondo, che arriveranno al 90% entro la fine del ventunesimo secolo.
Attualmente le più parlate sono il Cinese con 1 miliardo e 213 milioni di persone, lo spagnolo (329 milioni), l’inglese (328 milioni) e l’arabo (221 milioni), mentre agli ultimi posti ci sono 199 idiomi parlati da meno di dieci individui: il Wichita, utilizzato in Oklahoma, o il Karaim, parlato soltanto da sei persone in una ristretta zona dell’Ucraina.
Anthony Aristar, un importante ricercatore del linguaggio della National Science Foundation, sostiene che “una lingua non è solo parole e grammatica, è una rete di storie che mettono in contatto tutte le persone che usano ed hanno usato in passato quella lingua e porta in sé tutte le conoscenze che una comunità linguistica ha lasciato ai suoi discendenti. La morte di una lingua è come la morte di una specie, con essa si perde un anello della catena e tutto ciò che quella parte significava per il tutto”. Da molti anni attiva su questo fronte, la National Science Foundation ha creato un sito web che elenca tutte le lingue a rischio, raccogliendone dati, lessico, registrazioni e catalogazioni. Il motivo lo spiega lo stesso Aristar: “finché una lingua è in vita, c’è sempre una speranza di potere tramandare qualcosa ai posteri. Senza questo lavoro, arriverà un momento in cui le uniche culture rimaste saranno quelle espresse nelle quattro “grandi” lingue: inglese, spagnolo, cinese ed arabo”.
Negli ultimi 500 anni è scomparsa quasi la metà degli idiomi del mondo ed è allarmante l’accelerazione di un processo che sembra ormai inarrestabile.