La figura dell’interprete è spesso poco conosciuta e talvolta confusa con quella del traduttore. Eppure, il suo ruolo è cruciale in molti ambiti: dai tribunali alle conferenze internazionali, dalle trattative d’affari alla comunicazione in contesti medici. Oggi parliamo con Giulia, interprete di Studio Tre, per scoprire come nasce questa professione, quali sfide comporta e in che contesti si applica.
Ciao Giulia! Partiamo dall’inizio: com’è nata la tua passione per le lingue e cosa ti ha spinto a diventare interprete?
Fin da piccola ero animata da una grande curiosità. Ogni volta che sentivo una parola nuova non potevo fare a meno di chiedermi cosa significasse e di approfondirne il senso. Un episodio che ha segnato il mio percorso è legato alle vacanze in Alto Adige con i miei nonni: osservavo con stupore i bambini del luogo passare con naturalezza da una lingua all’altra. Ciò che mi colpiva di più era il modo in cui, attraverso la scelta della lingua, potevano decidere se coinvolgermi o escludermi dalla conversazione. In quel momento ho capito che il linguaggio non è solo un semplice strumento di comunicazione ma un ponte che unisce (o separa) le persone e proprio questo ha alimentato il mio desiderio di studiare le lingue.
E da questa curiosità è nato poi un percorso di studi mirato?
Esatto! Ho iniziato con l’inglese alle elementari, poi ho studiato inglese e tedesco alle medie, ho frequentato un liceo linguistico e all’università ho approfondito più lingue tra cui inglese, francese, tedesco, olandese e cinese. Ho anche trascorso un semestre in Irlanda e due anni in Germania, dove ho lavorato in un’agenzia di traduzione. Lì ho svolto diversi ruoli: revisore, traduttore e, infine, interprete.
Ci daresti qualche cenno storico sulla figura dell’interprete?
Certo! La figura dell’interprete è antichissima e risale addirittura all’Antico Egitto. Sotto il faraone Horemheb gli interpreti erano figure militari fondamentali per facilitare la comunicazione nell’amministrazione pubblica, nel commercio, nella religione e negli eserciti. Nel corso della storia l’interpretariato ha continuato a rivestire un ruolo cruciale in molteplici contesti ma uno degli eventi che ha segnato la nascita della professione moderna è stato il Processo di Norimberga, dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In quell’occasione, per la prima volta, si rese indispensabile un sistema di interpretariato simultaneo per garantire la comprensione tra imputati, avvocati, giudici e testimoni, che parlavano lingue diverse. Militari e diplomatici furono chiamati a tradurre in tempo reale tra inglese, francese, russo e tedesco, contribuendo in modo decisivo allo svolgimento del processo. Questa necessità portò allo sviluppo di tecniche e tecnologie innovative quali l’impiego di microfoni e ricevitori, strumenti ancora oggi fondamentali nel lavoro degli interpreti professionisti.
Nell’immaginario collettivo l’interprete viene ritratto proprio così: chiuso in una cabina con delle ingombranti cuffie in testa. È ancora così?
Non esattamente! Oggi, grazie agli avanzamenti tecnologici, è possibile fornire un servizio di interpretazione in simultanea sia dall’interno di una cabina, con moderne consolle e cuffie ergonomiche che garantiscono un ascolto perfetto come da norma UNI, sia al di fuori, con gli impianti bidule portatili simili a quelli in uso per le visite guidate. Inoltre, la pandemia Covid ha dato un ulteriore impulso allo sviluppo di piattaforme RSI (Remote Simultaneous Interpreting) e di videoconferenza, già integrate con il pannello interprete.
E oggi? Quali sono i principali ambiti in cui opera un interprete e in cosa consistono le sue mansioni?
Oggi l’interpretariato trova applicazione in numerosi contesti, ognuno con le proprie caratteristiche e sfide specifiche. In ambito medico, ad esempio, l’interprete svolge un ruolo fondamentale nel facilitare la comunicazione tra medici e pazienti che parlano lingue diverse, assicurandosi che diagnosi e cure vengano comprese correttamente. È un settore particolarmente delicato, in cui un errore di interpretazione potrebbe avere conseguenze molto serie.
Nel contesto legale, invece, gli interpreti operano nei tribunali, durante gli interrogatori e nei procedimenti giudiziari, garantendo che tutte le parti coinvolte comprendano con precisione quanto viene detto. È essenziale che la traduzione rispetti rigorosamente la terminologia giuridica e rimanga fedele alle dichiarazioni originali.
Un altro ambito di applicazione è l’interpretariato di trattativa, che si utilizza nelle negoziazioni commerciali, nelle visite aziendali e negli incontri d’affari. In questi contesti l’interprete non solo traduce le parole, ma deve anche cogliere le sfumature culturali e diplomatiche della conversazione, assicurando che il messaggio venga trasmesso nel modo più efficace possibile.
Un ruolo cruciale è svolto anche dagli interpreti nelle organizzazioni internazionali, come l’ONU e altre istituzioni simili. Qui, il lavoro si svolge in cabina, dove équipe di interpreti traducono simultaneamente gli interventi dei relatori in più lingue, permettendo ai delegati di diversi Paesi di comunicare senza barriere linguistiche.
Infine, l’interpretariato nella lingua dei segni è essenziale per garantire l’accessibilità delle informazioni alle persone sorde. Viene impiegato in ambito educativo, lavorativo, medico e istituzionale, contribuendo a rendere la comunicazione realmente inclusiva per tutti.
Un lavoro davvero vario e impegnativo! Quali sono state le esperienze più interessanti che hai vissuto come interprete?
Ho avuto la fortuna di lavorare in contesti molto diversi tra loro: dalle sfilate di moda, dove l’energia creativa e l’attenzione al dettaglio regnano sovrane, ai corsi per manutentori e installatori, in cui la precisione terminologica è fondamentale. Mi sono occupata anche di interpretazione per laboratori farmaceutici, durante i test di nuovi farmaci, esperienza che richiede un grande rigore scientifico per passare poi alle mostre d’arte, dove mi è stato possibile unire la passione per la cultura con il lavoro di interprete.
Ho preso parte ad eventi di natura istituzionale, come le visite di personaggi politici di rilievo, ma anche a situazioni più informali, ad esempio nelle scuole per l’infanzia a ispirazione Malaguzziana. Ho collaborato a conferenze mediche e incontri finanziari, partecipato a town hall periodici e a lanci di nuovi modelli automobilistici. In ogni contesto ho trovato occasioni di crescita, scoprendo ambiti nuovi e ampliando continuamente il mio bagaglio di conoscenze e competenze.
E dal punto di vista personale, cosa ti ha insegnato questo lavoro?
Tantissimo! Essere interprete mi ha insegnato ad ascoltare prima di parlare, a collaborare in maniera quasi simbiotica con colleghi (soprattutto nelle cabine di interpretazione simultanea), a essere sempre curiosa e ad approfondire ogni argomento con attenzione. Ho sviluppato una grande puntualità, ho allenato la mia memoria e ho compreso ancora più a fondo l’importanza dell’etica: l’interprete deve mantenere la riservatezza e garantire una trasmissione fedele e neutrale del messaggio.
Un vero e proprio mestiere di equilibrio e precisione! Grazie Giulia per averci fatto entrare nel mondo dell’interpretariato.
Grazie a te! Spero che questa intervista aiuti a far comprendere meglio il valore di questa professione e magari ispiri qualche futuro interprete!
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